——————————————————————————
LA LETTERA
Comincia presto la notte negli istituti di pena.
Il guardiano di
uomini arriva puntuale a chiudere il blindato
verso le 22. Si presenta
con la sua grossa chiave ottonata, tre
mandate che hanno un rumore
sordo, forte come un pugno allo
stomaco che ti coglie all’improvviso.
E’ la sensazione che la
tua libertà non sia più tua, ma nelle loro
mani, e tu inerme
non puoi fare nulla, se non subire questo stato di
privazione e
di mortificazione.
Un’altra lunga notte attende Roberto.
E’
proprio nella notte che si entra nella dimensione interna della
sofferenza, dei rimorsi, dei rimpianti. E’ nella notte che la
mente si
mette in moto e, come in un film, ti trasmette quegli
impusli che di
giorno, distratti da altre cose, non vengono
colti.
Un maledetto venerdì di alcuni anni prima Roberto aveva
deciso di
andare in discoteca con un gruppo di amici della sua
età, ragazzi
sballati, pronti alla trasgressione e all’uso di
sostanze per rendere
la serata più movimentata. All’epoca
aveva solo 22 anni. Oggi stava
per compierne 28 il sabato
successivo.
Sei lunghi anni erano trascorsi da quella notte di
baldoria che si era
trasformata per lui in una tragedia, in cui
aveva privato della vita
un ragazzo della sua età.
La serata
era cominciata con parecchi bicchieri di vodka e poi in
discoteca
avevano comprato delle pasticche di extasy che, unite ai
superalcolici, ebbero un effetto devastante. Dulcis in fundo,
prima di
uscire all’alba dal locale un pusher gli vendette a
prezzi stracciati
anche delle dosi di cocaina, le cui analisi
farmacologiche, durante il
processo, dimostrarono essere stata
tagliata con una potente
anfetamina.
Quando si mise al
volante della macchina di papà c’era un mostro, non
un essere
umano; un individuo che non era nemmeno in condizione di
dire il
suo nome.
Un semaforo rosso non fu nemmeno visto e un ragazzo in
bicicletta fu
letteralmente falciato dalla potente autovettura.
Un giovane essere
umano che si era alzato presto per andare al
lavoro nei campi, mentre
lui tornava da una notte di
trasgressione. Due coetanei con vite
diverse, con priorità
differenti. Non si rese nemmeno conto
dell’impatto, la sua
mente annebbiata e la forte velocità lo confusero
con un cane o
un cartone. Era stravolto e continuò la sua corsa verso
casa.
Dopo alcune ore un paio d’ore grazie a un paio di testimoni fu
rintracciata la macchina e i Carabinieri lo andarono ad
arrestare tra
lo stupore dei suoi genitori. Il ragazzo era morto
sul colpo.
Solo dopo alcuni mesi dall’arresto, Roberto riuscì
a realizzare
l’accaduto nel vero senso della parola. La
condanna a sette anni e
mezzo per omicidio colposo lo
consapevolizzò definitivamente.
Durante la sua detenzione aveva
compreso molte cose. Aveva compreso
che la vita alla sbando non
aveva alcun senso e cercò, anche grazie
all’aiuto di uno
psicologo, di analizzare la sua esistenza passata.
Oggi era un
uomo nuovo, consapevole degli errori commessi e
profondamente
pentito per tutto quello che aveva causato sia per sé
sia per la
sua vittima. Aveva spezzato una giovane vita e aveva
lasciato due
genitori con un dolore insostenibile. Il tutto per una
serata di
trasgressione e follia.
Erano già due anni che ogni venerdì,
dopo le 22, si sedeva sul suo
sgabello e cominciava la lettera da
scrivere a quel ragazzo che
avrebbe avuto oggi la sua stessa età.
Cominciava sempre con un Caro
Daniele, ma poi si rendeva conto
che forse lui on aveva nessun diritto
di chiamarlo “caro” e
così iniziava a correggere frasi di pentimento
che alla fine
della lettera gli apparivano di circostanza e vuote.
Era troppo
il male fatto, forse non esistevano davvero le parole
adeguate.
Aveva visto i genitori della vittima il giorno della
sentenza di
primo grado e poi l’anno dopo in quello della sentenza
d’appello
che ridusse la pena di alcuni anni, in relazione alla
giovane età
e all’incensuratezza. La sua agiata famiglia riuscì, non
si sa
come, a trovare anche un testimone che sostenne che il ragazzo
aveva
attraversato con il semaforo rosso, così alla fine il processo
si
chiuse con una condanna a sette anni e mezzo di reclusione.
Gli
occhi di quella madre tra le lacrime esprimevano dolore e rabbia,
e
ora Roberto sapeva che non poteva di certo biasimarla. La
riconciliazione, se accettata, sarebbe stata una soluzione
liberatoria
per il suo io, ora consapevole. Ogni tanto durante la
scrittura si
fermava a fissare il muro bianco e si chiedeva se
tutto ciò non fosse
una follia:<<Con che coraggio posso
scrivere al ragazzo morto e
chiedergli perdono? E perché mi
dirigo a lui e non ai suoi familiari?
>> si domandava
perplesso.
Ci furono dei momenti in cui lo sconforto giunse a un
livello
preoccupante, quasi al limite del suicidio. E
quell’avvilimento, non
derivava solo dal fatto di avere
distrutto la sua vita e quella dei
suoi genitori, ma il pensiero
centrale era quello di avere ucciso un
essere umano che aveva
avuto solo la sfortuna di passare davanti a lui
quel maledetto
sabato mattina. Nulla aveva senso.
Ora davanti ai suoi occhi non
c’era solo la tristezza della cella. Si
trovava solo con se
stesso e con quel dolore che non poteva esternare
di giorno. Lo
elaborava metabolizzando il rimorso che cresceva in
proporzione
al tempo, che passava lentamente. Lo scrivere a Daniele
gli
provocava sollievo. Chiedere perdono al ragazzo che aveva ucciso,
aveva un non so che di folle, ma il farlo alleviava le sue pene
ed il
suo senso di colpa. La stessa detenzione assumeva un
aspetto quasi
tollerabile. Il pentimento era reale come la sua
sofferenza, che non
l’abbandonava nemmeno per un giorno. Era un
sentimento che veniva dal
profondo, e il suo dolore era infinito.
Quello stato di disperazione quella notte, fu interrotto dalla
breve
accensione della luce centrale. Il guardiano di uomini deve
passare
ogni ora per la conta, o meglio, per controllare che
nessuno compia
l’atto estremo, poiché è nella notte che
spesso questo accade. Pochi
istanti gli bastano al suo occhio
esperto per vedere che tutto sia a
posto e può così continuare
il suo giro per il braccio della sezione.
Così, subito dopo
l’interruzione, Roberto continua con i suoi
pensieri, con la
lettera sempre dinanzi illuminata dalla luce della
piccola
lampadina in dotazione nelle celle singole per leggere o
scrivere.
Pensa al tempo che è scivolato furtivamente dalla sua vita, agli
affetti, alla sua famiglia, al ragazzo che oggi forse avrebbe
avuto
una moglie, dei figli…
Con gli occhi umidi sbaglia
riga, sbaglia l’ortografia, non importa,
continua a scrivere e
finalmente, dopo due anni di tentativi andati a
vuoto, riesce a
terminare la lettera da spedire a Daniele. In
quell’atmosfera
rarefatta guardò nascere il sole dalle sbarre della
sua cella e
finalmente si sentì più leggero per avere terminato ciò
che da
due anni aveva tentato instancabilmente senza risultato. Con la
lettera appoggiata sul tavolo chiusa e affrancata, Roberto
ascolta in
silenzio il cinguettio dei passeri, che con le
loro melodie
contribuiscono a formare l’insieme invisibile ma
palpabile della vita,
la vera vita che scorre lontano.
In
fondo avrebbe voluto trasmettere a Daniele il suo rimorso autentico
e ringraziarlo per avergli dato uno scopo durante i lunghi
anni di
detenzione.
La lettera a Daniele era in realtà una
lettera a se stesso, una
lettera in cui il percorso di
ricostruzione dalle ceneri della sua
vita aveva creato un uomo
nuovo. Il mese successivo avrebbe ottenuto
la libertà, grazie al
buon comportamento e ai giorni della liberazione
anticipata. Una
nuova vita era ad attenderlo fuori del carcere, ma
perché questo
potesse avvenire sarebbe stato indispensabile un
confronto
finale.
Un mese dopo, alla porta della famiglia di Daniele
apparve un ragazzo
che aveva parcheggiato diligentemente la sua
bicicletta davanti al
portone. Era Roberto: <<Volevo sapere
della lettera…>> disse
emozionatissimo alla signora che
lo guardava stupita dall’uscio.
La lettera era stata ricevuta e
messa in un cassetto dalla madre del
ragazzo, senza essere stata
aperta, in un gesto quasi automatico pieno
di risentimento. Anche
il padre lo vide, ma non era intenzionato a
farlo entrare.
<<Come si permette di presentarsi qui da noi proprio
oggi!>> esclamò
con le lacrime agli occhi.
Dopo un
momento di grande commozione e rabbia dovuto alle implorazioni
del
giovane, decisero di farlo entrare.
Era l’anniversario della
morte di Daniele e gli diedero cinque minuti,
non uno di più.
La signora andò a prendere la lettera e titubante la consegnò a
Roberto che l’aprì e cominciò a leggerla:
Caro
Daniele,
sono il ragazzo che ti ha privato della vita, il pazzo
che, sconvolto
dall’alcool e dalle droghe, ti ha travolto
mentre andavi a lavorare
con la tua bicicletta alle sei del
mattino di quel nefasto sabato di
giugno.
Durante la mia
lunga detenzione non c’è stato un giorno in cui non ho
maledetto
quel mio modo di vivere, non c’è stato un giorno in cui non
ti
ho pensato. In alcuni momenti di sconforto speravo di non
svegliarmi, per non continuare questa mia agonia e pagare in modo
definitivo per il male fatto. Poi decisi di scriverti, anche se
eri
morto, e dentro di me sapevo che avresti capito, che avresti
compreso
i miei errori di ragazzo viziato e senza valori. La tua
invisibile
presenza mi ha dato la forza per sopravvivere e per
comprendere, per
trasformarmi nell’uomo che sono oggi.
Non
posso pretendere che i tuoi genitori mi perdonino, è troppo il
dolore causato, e se ciò non avverrà saprò comprenderlo. Se la
felicità esiste, è forse il raggiungimento di un equilibrio, ed
il mio
l’ho raggiunto grazie a te. Sono un uomo nuovo che vuole
dare un senso
alla sua vita, e la tua eterea presenza mi sarà
sempre di grande
aiuto. So che eri un ragazzo buono e semplice,
un esempio per i
giovani della tua età.
Forse penserai che
sono diventato pazzo, che ti sto scrivendo per
liberarmi di
questo macigno che ho sul cuore, che ho bisogno di un
alibi per
sentirmi bene e che in fondo potrebbe essere un altro
aspetto del
mio infinito egoismo. Non so risponderti con certezza,
quello che
posso dirti è che Roberto oggi è Daniele, e che la tua
morte mi
ha trasformato durante la detenzione in un uomo nuovo, capace
di
amare e di comprendere la giusta strada da percorrere. In questi
anni ho sofferto molto, sono stato trattato come il peggiore dei
criminali, ho sopportato in silenzio provocazioni di ogni tipo.
Perdonami, dovunque sei ora, perché questo mio sentimento è
autentico, e sono convinto che potrai comprendere. Non vale la
pena
aggiungere altro, se non meditare seriamente su queste
realtà e
pensare a quanti sono ancora in attesa di ricevere un
perdono dalle
loro vittime.
Roberto
Terminata la
lettura, il padre si alzò e, senza dire una parola,
abbracciò
Roberto con gli occhi pieni di lacrime, in un silenzio
immenso
saturo di mutua solidarietà. Avevano compreso e tutti erano
riusciti a liberarsi da quell’oppressione che avevano mantenuto
sul
cuore per anni. Prima che Roberto fosse uscito, la madre di
Daniele
sfiorò la sua guancia e disse con gli occhi lucidi:
<<Addio ragazzo, grazie di avere avuto la forza di venire a
casa
nostra, non ce ne rendevamo conto ma ne avevamo molto
bisogno anche
noi…>>
Il giovane montò sulla sua
bicicletta e sparì all’orizzonte.
Aveva piovuto e stava
timidamente formandosi nel cielo un arcobaleno
che si mise in
luce proprio nel momento in cui Roberto raggiunse il
semaforo, lo
stesso di quella tragica notte.
La luce era rossa e così, mentre
una leggera brezza lo avvolse, poté
osservare quel magnifico
spettacolo all’orizzonte. Gli parve di vedere
una luce
brillante, una nuvola a forma di volto sorridente che
lentamente
scorse davanti a lui, per poi scomparire tra i colori
dell’arcobaleno.
Forse era l’invito di Daniele che lo
spronava a tornare a vivere, un
segnale…
Ritornare a vivere
è come rinascere dall’ombra di un passato che ormai
non conta
più,a vendo compreso i propri errori e ritornare semplici
nella
felicità delle piccole cose.
E costruire ogni attimo il proprio
domani, consapevoli.
Ritornare a vivere e credere nell’amore e
nel perdono e sentire che
anche il dolore dell’anima può
essere sanato. Non è facile, ma è
possibile.